“Piccola pesca” e le lotte dei pescatori di Teulada

Riceviamo e pubblichiamo:

Arbatax

2 Agosto 2012 ore 21

Piazza

Proiezione del film

di Enrico Pitzianti

“Piccola pesca”

 

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La lotta dei pescatori di Teulada, i primi ad avere sollevato il problema della bonifica del mare usato da mezzo secolo come pattumiera bellica e campo di guerra permanente da Italia, Nato, Usa. L’esigenza di decontaminare, bonificare, restituire al popolo sardo le zone soggette a schiavitù militare oggi  si pone come indilazionabile soprattutto nelle aree coinvolte dal poligono della morte Salto di Quirra (ettari 13.000 a terra, 2.840.000 a mare,da Capo Ferrato a Capo Comino).

Il film, molto bello,  ha ricevuto numerosi riconoscimenti, però in Sardegna è quasi sconosciuto, ha incontrato pesantissimi ostacoli nella distribuzione.

Si può facilmente ipotizzare l’ostracismo dei potentati vari verso un opera “politicamente sconveniente”.
La presenza del regista, Enrico Pitzianti, consente di approfondire e aggiornare la questione della schiavitù militare imposta alla Sardegna.

Mariella Cao

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Trama del film

Negli anni Cinquanta in Sardegna sono stati espropriati 8000 ettari di terra per realizzare il poligono militare di Capo Teulada. L’isola è stata considerata come “una portaerei gigante che non si può affondare” e il territorio è stato militarizzato approfittando del fatto che fosse poco abitato. I pescatori del basso Sulcis sono stati estromessi dal mare una volta così pescoso, ma, se prima il divieto di pesca era solo durante le esercitazioni NATO, dal 1997 le restrizioni sono diventate ancora più severe. Tutto viene raccontato attraverso le testimonianze degli anziani pescatori che hanno vissuto la vicenda sulla propria pelle e di chi sta lottando per riappropriarsi di quel tratto di mare.

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Enrico Pitzianti

Nasce a Cagliari nel 1961, dove si laurea in giurisprudenza. Si è diplomato anche in regia alla New York Film Academy.

I primi due cortometraggi, la docu-fiction Il Guardiano (1998) e Il Gobbo (2000) ottengono entrambi il Premio qualità del Ministero dei Beni e Attività Culturali, e sono distribuiti in sala dall’Istituto Luce. In seguito, si dedica al documentario, firmando Sanpit (2001): il film viene presentato al Torino Film Festival, dove nel 2002 Pitzianti vince il Premio della Giuria per L’ultima corsa.

Dopo Un anno sotto terra(2003), in concorso al Premio Libero Bizzarri, firma Piccola pesca(2004). Il film, distribuito in sala dalla Pablo, lo impone all’attenzione anche internazionale come uno dei nomi più interessanti del documentarismo italiano. Tutto torna, (2008) il suo primo lungometraggio di fiction, è stato riconosciuto “di interesse culturale nazionale” dal MiBAC. Nel 2012 esce nelle sale il documentario Roba da matti, che mostra la storia di Casamatta, una residenza socio assistenziale a Quartu Sant’Elena che dopo 17 anni di attività rischia di chiudere per sempre.

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Il Disobbediente1 – © 30.07.2012

Giancarlo Siani: morire di verità a 26 anni

Giancarlo Siani

 

“Puoi cadere migliaia di volte nella vita, ma se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non lo farai mai in ginocchio, sempre in piedi”

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Il suo ultimo articolo

NONNA MANDA IL NIPOTE A VENDERE L’EROINA
(Il Mattino 22 settembre 1985)


“Mini-corriere” della droga per conto della nonna: dodici anni, già coinvolto nel “giro” dell’eroina. Ancora una storia di “muschilli”, i ragazzi utilizzati per consegnare le bustine. Questa volta ad organizzare il traffico di eroina era una “nonna-spacciatrice”. Era lei a tenere le fila della vendita con altre due persone ed il nipote.

La casa-basso nel centro storico di Torre Annunziata era diventata il punto di riferimento per i tossicodipendenti della zona. Al ragazzo il compito di portare le dosi ed incassare i soldi. A scoprire il traffico di droga sono stati i carabinieri della Compagnia di Torre Annunziata che hanno arrestato la donna, Maria Cappone, sessant’anni e Luigi Cirillo, di 34 anni, anche lui coinvolto nel “giro”.

Un altro uomo, parente della donna, è stato identificato ma è riuscito a scappare. Il ragazzo è stato affidato ai genitori. La madre, impiegata comunale a Torre del Greco, era all’oscuro di tutto. Sapeva che il figlio la mattina si recava dalla nonna ad aiutarla nei servizi di casa. In realtà l’aiuto consisteva nel fare da staffetta per consegnare le bustine. I carabinieri da diversi giorni tenevano sotto controllo la casa di via Carlo III, nel centro storico di Torre Annunziata. Avevano osservato tutti i movimenti dei tre spacciatori e avevano notato anche il ruolo che era stato affidato al ragazzo (minorenne e quindi non imputabile: nessun rischio se veniva trovato con l’eroina).

L’altro giorno i militari, diretti dal capitano Sensales, sono intervenuti, hanno bloccato Luigi Cirillo (aveva in tasca una bustina d’eroina) ed hanno fermato il dodicenne che al pretore di Torre Annunziata, Luigi Gargiulo, ha confermato il suo ruolo, l’attività della nonna e degli altri due spacciatori. Il Cirillo contattava i tossicodipendenti, stabiliva il prezzo e fissava l’appuntamento davanti all’ingresso di Maria Cappone. Al ragazzo veniva affidata l’eroina, la consegnava ai tossicodipendenti ed incassava i soldi. Quando i carabinieri sono intervenuti la donna di sessant’anni è riuscita ad allontanarsi, ma è stata arrestata dopo qualche ora.

L’altro parente della donna, invece, è riuscito a sfuggire all’arresto; contro di lui la Procura della Repubblica di Napoli ha emesso un ordine di cattura per detenzione e spaccio di droga. I militari hanno sequestrato altre due bustine di eroina. Secondo le indagini i tre non avevano collegamenti con clan camorristici. L’appartamento era un centro di vendita al “dettaglio”. La madre del ragazzo (ogni mattina per lavoro si spostava a Torre del Greco) era certa che il figlio andasse a trovare la nonna perché ammalata. Li chiamano “muschilli”. Sono minori, non imputabili Li chiamano i “muschilli”, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby. Un “lavoro” da intermediario, un compito di appoggio. Il ragazzo di dodici anni di Torre Annunziata non è né il primo né l’unico caso. A maggio scorso il caso di Gennarino di Secondigliano, a dieci anni forzato della droga. Ma tanti altri ancora. Quanti ne sono? Impossibile azzardare un dato statistico, certo è che il fenomeno esiste in proporzioni molto più vaste di quanto si creda.

Gli spacciatori li utilizzano per non correre rischi. I “muschilli” sono agili, si spostano da un quartiere all’altro e soprattutto non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ma soprattutto sono minorenni: anche se trovati con la bustina d’eroina in tasca non sono imputabili. Ed ecco che il meccanismo perverso dello spaccio di droga li coinvolge. Generalmente si muovono seguiti a poca distanza dal “manager-spacciatore” contattato il tossicodipendente parte la staffetta con la droga, consegna, incassa i soldi e torna. A Torre Annunziata la stessa tecnica, a dirigere il ragazzo era la nonna.

Come del resto faceva cinque o sei anni fa quella madre a San Biagio dei Librai a Napoli che si serviva dei tre figli per portare in strada l’eroina, fino a quando non è stata arrestata. Ragazzi, molto spesso bambini, già inseriti in un “giro” di droga. Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere, è difficile che possano imboccare altre strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto. E in provincia di Napoli lo spaccio della droga è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra. A Torre Annunziata un traffico che fino all’agosto dell’anno scorso era direttamente gestito dal boss Valentino Gionta. Dai grandi distributori alla vendita al dettaglio ed in questa seconda attività è più facile organizzarsi in proprio, poche bustine per guadagnarsi da vivere ma l’eroina entra in casa diventa familiare, anche per i ragazzi. Un fenomeno diffuso contro il quale c’è stata già la ribellione delle madri antidroga dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Lì dove l’eroina ha ucciso, ha distrutto giovani e famiglie.

“Basta con la droga” lo hanno gridato nelle piazze, lo hanno detto a Sandro Pertini, lo ripetono ormai da tempo per ottenere strutture, comunità terapeutiche, un aiuto per liberarsi dalla “piovra”. E nella provincia il malessere, il degrado, l’abbandono sono sempre più acuti. Dove gli intrecci tra camorra e droga sembrano imbattibili. Dove alla cronica carenza di tutto, dalle case al lavoro, agli ospedali, si aggiunge anche il ritardo negli interventi per il recupero dei tossicodipendenti. A Torre Annunziata e nella zona vesuviana si aspetta una comunità terapeutica, una “Zattera”, un presidio sanitario da anni, ma fino ad oggi non è stato realizzato niente.

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Chi era Giancarlo Siani

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Era la sera del 23 settembre del 1985 e, come spiega Daniela Limoncelli, collega di Siani:

“era una serata normalissima al giornale, stavamo tentando di andare tutti insieme a vedere il concerto di Vasco Rossi e Giancarlo stava cercando invano di trovare i biglietti. Non essendoci riuscito, ritornò a casa”.

Aggiunge Goffredo Buccini, giornalista: “Giancarlo era disposto a fare qualsiasi sacrificio pur di fare questo mestiere, ma non avrebbe mai pensato di andare incontro alla morte”.

Furono invece tre killer senza volto a uccidere Siani, cogliendolo -così almeno sembrò in un primo momento- di sorpresa. Giancarlo viene ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del Vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima.

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Torre Annunziata non è un paese ma una città nella città. Case popolari fatiscenti, cresciute negli anni del boom economico e della speculazione edilizia, tirati su in fretta. Torre Annunziata non é un paese ma é ancora Napoli. Giancarlo Siani ha 26 anni, è un collaboratore precario del Mattino. Articolo dopo articolo si conquista la fama di cronista specializzato in una terra senza confini precisi e delineati, dove la camorra è lo Stato. Lui proviene dai quartieri alti di Napoli, dal Vomero, una zona ricca, lontana da Torre Annunziata. Giancarlo Siani sta tornando a casa con la sua auto. I killer lo aspettano sotto la sua abitazione a piazza Leonardo. La sua corsa di cronista di nera in una terra che non è dello Stato si ferma alle 21 e 40, la sera del 23 settembre 1985.

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“[…] Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umiltà, ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s’era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presa all’indomani della pubblicazione di un suo articolo, su “Il Mattino” del 10 giugno 1985 relativo alle modalità con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all’ergastolo) Siani spiegò che Gionta era diventato alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta (deceduto) , amico e referente in Campania della mafia vincente di Totò Riina.

[…] L’ organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali Siani continuò con sempre maggior vigore la propria attività giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980. Questa è la verità giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d’ergastoli.”.

(http://www.giancarlosiani.it/biografia.html)

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Una vita stroncata con una 7 e 65, una pistola comune come dice il pentito Ferdinando Cataldo, usata appositamente per sviare le indagini.

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Dal verbale di udienza di Ferdinando Cataldo, imputato di essere uno degli esecutori dell’omicidio di Giancarlo Siani, con il Pubblico Ministero Armando D’Alterio.

(Napoli, carcere di Poggioreale, 19 Novembre 1996):

«E Lorenzo Nuvoletta ci spiegò il fatto e disse:

“Questo è uno che ha sempre fatto questo. Con l’articolo ci ha buttato la calunnia addosso dicendo che noi siamo infami. Questo si deve ammazzare.”

Quindi si è parlato del fatto che si doveva ammazzare questo giornalista. Quindi dissi che lo conoscevo e per dimostrare che si potevano fidare dissi che potevo andare anche io a fare questo omicidio… Poi Lorenzo Nuvoletta disse di mandare l’ambasciata a Valentino Gionta che si doveva uccidere questo giornalista».

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Briciole di storia

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I clan della camorra sono in guerra per il dominio del territorio e Torre Annunziata sta diventando un presidio sempre più strategico nella geografia della criminalità. Sono i primi anni Ottanta: a Napoli e nei paesi limitrofi la camorra scatena una guerra senza precedenti. A dettar legge, nella strada, sono le pistole, i kalashnikov, i fucili a canne mozze. Dal 1979 al 1984, cioè in soli cinque anni, i morti sono 769. A fronteggiarsi, due veri e propri eserciti: da una parte la Nuova Camorra Organizzata, la storica formazione alla cui guida c’è Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia, un cartello di clan guidato dalla famiglia Nuvoletta, ormai sempre più potente in ragione della sua affiliazione alla mafia siciliana.
L’obiettivo del clan Nuvoletta è quello di eliminare definitivamente dalla zona Cutolo; per far questo i Nuvoletta trovano un prezioso alleato in un boss emergente e temibile di Torre Annunziata, Valentino Gionta.

(http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=390)

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La sua filosofia era che, una volta ottenuta la notizia, per pericolosa che fosse, per eclatante che fosse, l’importante era verificarla.

(Armando D’Alterio)

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Il suo atto di condanna a morte è l’articolo pubblicato da Il Mattino il 10 giugno 1985, all’indomani dell’arresto di Valentino Gionta, scrive Siani:

“Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta. Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.

[…] Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare» […]”.

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Lorenzo Nuvoletta non voleva essere considerato un infame, Siani doveva essere ammazzato a dimostrazione della sua “onestà” verso Valentino Gionta.

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Dopo l’omicidio di Giancarlo Siani, per sette anni la magistratura brancola nel buio.

Solo nel 1992, per puro caso, grazie ad alcune allusioni di un pentito di camorra, D’Alterio riapre l’inchiesta sull’omicidio Siani. Nel 2003, dopo undici anni di processi, arrivano le sentenze definitive.

Mandanti: Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, condannati all’ergastolo.

Esecutori materiali: Armando Del Core e Ciro Cappuccio, ergastolo. Gaetano Vaiolare: 28 anni di reclusione.

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La memoria

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Una scuola media ed un istituto tecnico commerciale hanno il suo nome.

Un comitato promosso da Ordine dei giornalisti della Campania, Associazione napoletana della stampa, Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, Centro studi Siani e quotidiano il Mattino organizza tutti gli anni il “Premio Giancarlo Siani”.

Il film di Marco Risi, Fortapàsc uscito nel 2009.

Il cortometraggio di Gianfranco De Rosa del 1999, Mehari.

La Mehari, l’auto di Giancarlo Siani, diventerà un’installazione artistica. L’opera sarà collocata nella piazza della Legalità, in via Caldieri.   (http://www.concorsomehari.it/doc/ita/ConcorsoMehari.pdf)

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Ci avrebbe potuto raccontare ancora tanto, sono davvero troppo pochi 26 anni per morire di verità..

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Il Disobbediente1 – © 30.07.2012